“Difenderemo l’obiettivo minimo di una riduzione netta di emissioni di CO2 di almeno il 90% entro il 2040 rispetto al 1990″. Parole, queste, rivolte agli eurodeputati, da Wopke Hoekstra, dopo la sua nomina a vicepresidente della Commissione europea.
Gli obiettivi 2040 sono la tappa intermedia tra la riduzione del 55% di emissioni al 2030 (Fit for 55), e il raggiungimento di emissioni nulle (Net-zero) al 2050. L’Europa non è la sola: gli Stati Uniti hanno un net-zero al 2050 e un obiettivo di riduzione del 50-52% al 2030; anche per il Brasile il net-zero è al 2050; per la Cina al 2060 e per l’India al 2070. Centocinquantuno paesi al mondo hanno adottato o sono in fase di definizione di obiettivi net-zero.
Lo scenario prevede la realizzazione di rinnovabili per circa 11 GW/anno (fino al 2030) e 17 GW/anno tra il 2030 e il 2035. Un traguardo possibile, se pensiamo che nel 2010-11 in Italia sono stati installati 10 GW di impianti solari e 1 GW di eolico. Andrà risolto il perpetuo scarico di responsabilità tra Stato e Regioni, con un bilanciamento dei poteri e una maggiore presa in carico da parte dello Stato nell’assicurare il rilascio delle autorizzazioni.

Un sistema elettrico rinnovabile porta vantaggi anche in termini occupazionali. 11 GW di fotovoltaico all’anno corrispondono a 127,6 mila occupati, di cui 121 mila nella fase di costruzione della tecnologia e 6,6 mila nella fase di esercizio.
Il problema sarà assicurarsi abbastanza occupati e una strategia industriale in grado di intercettare competenze rilevanti. Buona parte del lavoro sarebbe nel Sud-Italia, dove maggiore è la realizzazione di impianti. Per quanto riguarda gli investimenti, l’obiettivo net-zero richiederà 72 miliardi di euro nella parte produttiva, 25 miliardi in accumuli e 2,3 miliardi nelle reti, nel periodo 2023-2030.
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